500 ANNI DELLA RIFORMA PROTESTANTE
500 JAHRE EVANGELISCHE REFORMATION

pagina speciale con il programma nel Locarnese
Sonderseite mit dem Programm im Locarnese


PANORAMICA - ÜBERSICHT





da "laRivista, mensile illustrato del Locarnese e Valli, aprile 2017"

Altri articoli sono apparsi su
- il Corriere del Ticino del 12.4.2017, pagina 17,
- il Giornale del Popolo del 12.4.2017, pagina 10,
- la Regione del 13.4.2017, pagina 11.


Trasmissioni radiofoniche e televisive:

1. RSI, RADIO DELLA SVIZZERA ITALIANA

A. Trasmissione radiofonica MODEM, RSI RETE UNO, del 14 aprile dal Titolo La Pasqua dei papi http://www.rsi.ch/rete-uno/programmi/informazione/modem/
B. Trasmissione radiofonica MILLEVOCI, RSI RETE UNO, del 14 aprile dal titolo: Locarno, città europea della Riforma http://www.rsi.ch/rete-uno/programmi/intrattenimento/millevoci/Locarno-città-europea-della-Riforma-8904274.html

2. RSI, TELEVISIONE DELLA SVIZZERA ITALIANA

A. Puntata del 15 aprile della trasmissione SEGNI DEI TEMPI, RSI LA 1, all’inizio della trasmissione http://www.rsi.ch/la1/programmi/cultura/segni-dei-tempi/
B. Telegiornale IL QUOTIDIANO della Svizzera italiana, edizione del 16 aprile, RSI LA 1, dal minuto 11:30 http://www.rsi.ch/la1/programmi/informazione/il-quotidiano/


I SINGOLI EVENTI - DIE EINZELNEN EREIGNISSE


LUTHERREISE, August 2017
Samstag, 19.-Freitag 25.08.


Zeitraum: 19.-25.08. ist das Ausgangsdatum, sofern alle TeilnehmerInnen zustimmen, ist es möglich, die Reise um ein oder zwei Tage vorzuverschieben.

Reise, Locarno – Mitteldeutschland: a) im Kleinbus (comfortabel, gute Sitze und viel Platz) oder aber b) mit der Bahn nach Erfurt und ab Erfurt Kleinbus.
Reisegruppe: 12 TeilnehmerInnen, +/- 2, die Reise findet ab mindestens 10 Teilnehmerinnen statt, wünschenswert ist eine Gruppengröße von 12-14 Personen.
Anmeldung: Bis 19. März 2017, pfarrer.erny@bluewin.ch

1. Tag (19.08.) Hinreise, Locarno-Erfurt (700 km)
Übernachtung nach Möglichkeit im Evangelischen Augustinerkloster Erfurt (ev. für 4 Nächte)

2. Tag (20.08.) Erfurt
Frühstück, Kirchgang, Stadtrundgang, Georgenburse, Stadtmuseum, Angermuseum, Dom Führung im Augustinerkloster (Abendgebet jeweils um 18.00)
Martin Luther lebte 1501-1511 in der Landeshauptstadt Thüringens, Erfurt, zunächst in der Georgenburse (Studentenheim und Seminar), später im Augustinerkloster.
www.erfurt-tourismus.de, www.lutherland-thueringen.de

3. Tag (21.08.) Eisenach und Wartburg
Variante a) Tagesausflug von Erfurt aus (rund 70 km)
Variante b) Übernachtung im Hotel Kaiserhof in Eisenach
Wartburg - Eisenach: Bachhaus, Luterhaus, Stadtplatz
Im Eisenacher ’Lutherhaus’ soll der Reformator als [Latein-]Schüler gelebt haben; auf der Wartburg verbrachte er als ’Junker Jörg’ rund zehn Monate; Friedrich der Weise ließ ihn auf dem Rückweg von Worms dorthin bringen. In den letzten Wochen auf der Wartburg entstand die deutsche Übersetzung des Neuen Testaments. Joh. S. Bach ist 1685 in Eisenach zur Welt gekommen.
www.www.eisenach.info, www.lutherhaus-eisenach.de, www.wartburg-eisenach.de

4. Tag (22.08.) Weimar (ev. + Arnstadt oder Gotha)
Tagesausflug von Erfurt aus Stadtschloss, Werke von Cranach und Dürer und/oder Herzogin Anna-Amalia-Bibliothek, Park an der Ilm, Goethes Gartenhaus, Herderkirche
In der Stadtkirche St. Peter und Paul (Herderkirche), hat der Reformator jeweils auf der Durchreise gepredigt. Besonders interessant ist der von Cranach angefertigte Flügelaltar, eine bildliche Darstellung der lutherischen Lehre.
www.weimar.de, www.klassik-stiftung.de , www.ek-weimar-de

5. Tag (23.08) Erfurt - Eisleben - Schkopau
Eisleben: Geburts- und Sterbehaus Martin Luthers; Taufkirche Mittagessen (unweit von Eisleben), Übernachtung im Schlosshotel Schkopau (ev. 2 Nächte)

6. Tag (24.08.) SchkopauWittenberg (70 km)
Stadtrundgang, Lutherhaus (Augustinerkloster), Stadtkirche und Schlosskirche, ev. Melanchthonhaus; Cranachhäuser, Übernachtung: Ringhotel Schwarzer Baer in Wittenberg oder wiederum Schlosshotel Schkopau
In Wittenberg wirkte der Reformator als Professor (ab 1511), Prediger und Organisator der entstehenden Evangelischen Kirche; hier veröffentlichte er 1517 seine 95 Thesen gegen den Ablass.
www.lutherstadt-wittenberg.de

7. Tag (25.08.) Rückreise, Wittenberg-Locarno

Nicht enthalten ist in diesem Vorschlag sind weitere “Lutherstädte“ wie etwa Torgau. Auch Leipzig (www.leipzig-travel.de Thomaskirche, 1723-50 Wirkungsort Johann Sebastian Bachs) ist aus Zeitgründen nicht eingeplant und würde zumindest einen zusätzlichen Tag erfordern.

Kosten pro Person - Reisekosten, voraussichtlich rund 250 Franken - Übernachtungen (inkl. Frühstück), rund 6 x 80, somit ca. 500 Franken (im Einzelzimmer etwas mehr) + Mittag- und Nachtessen + Eintritte/Führungen


Tavola rotonda sulla Riforma "Lutero e la Riforma a sud delle Alpi"
sabato 16 settembre


Contributi di Prof. Emidio Campi

Lutero e la Riforma a Sud delle Alpi
Emidio Campi

Il tema di questo intervento non è mio. Mi è stato suggerito dal pastore Angelo Cassano, che ringrazio pubblicamente, e aggiungo che mi è piaciuto subito, perché permette di evitare due scogli, l’uno più pericoloso dell’altro. Parlare di “Riforma a Sud delle Alpi”, anziché di Riforma italiana, esime innanzitutto dal fornire una presentazione dettagliata della realtà multiforme del moto riformatore italiano. Senza addentrarmi nei complessi meandri della questione, ricordo semplicemente che non ebbe un centro geografico simbolico, come Wittenberg per il luteranesimo, o come Zurigo, Strasburgo e Ginevra per la corrente riformata, e che il suo profilo dottrinale fu assai frastagliato. Vi erano i protestanti veri e propri, luterani, zwingliani e calvinisti, come Pier Paolo Vergerio, Pier Martire Vermigli, Emanuele Tremellio, Girolamo Zanchi; alle prime avvisaglie della repressioni molti di essi emigrarono verso le città riformate della Confederazione elvetica, nei territori delle Tre Leghe e nei baliaggi grigionesi di Chiavenna, Valtellina e Bormio, creando nuove comunità – ricordo che la Val Bregaglia e la Val Poschiavo sono l’unico cantuccio di mondo in cui il culto riformato in italiano sia sopravvissuto ininterrottamente dalla Riforma del secolo XVI ad oggi. Inoltre vi erano i cosiddetti “spirituali”, uomini e donne aderenti a cenacoli come quello di Juan de Valdés a Napoli o di Reginald Pole a Viterbo, i quali univano a orientamenti teologici eterodossi una tenace speranza di riforma graduale della chiesa e una pietà tutta interiore senza rotture laceranti con la tradizione. Ai protestanti e agli spirituali vanno aggiunti gli anabattisti, che almeno nel Veneto ebbero una diffusione ampia soprattutto a livello popolare. Vi erano infine gli “eretici”, come li definì Cantimori con fortunata espressione, cioè antitrinitari, razionalisti e altri indomiti cercatori di verità capaci di sfidare sia l’ortodossia protestante sia quella cattolica in una lunga e difficile battaglia per la tolleranza e la libertà religiosa.

In secondo luogo, parlare di “Riforma a Sud delle Alpi”, anziché di Riforma italiana, evita il pericolo di considerare la nuova fede sorta nei baliaggi italiani dei cantoni svizzeri o delle Tre Leghe, come una sorta di epifenomeno privo di profilo proprio e riconducibile essenzialmente alle dottrine provenienti da Wittenberg, Zurigo e Ginevra, nonché all’ influenza esercitata da varie personalità provenienti dalla penisola italiana che soggiornarono in questi territori. Come vedremo nel corso dell’esposizione, il fragile moto riformatore che si era formato in questa area geografica era bensì imbevuto del pensiero teologico dei Riformatori d’ oltralpe e i italiani, ma fermo nei propri convincimenti dottrinali e tutt’altro che privo di una cultura teologica.

Sviluppo questa tesi in due parti. Nella prima vorrei ricordare in poche parole, molto alla buona, come e con quale velocità, quasi in “tempo reale”, le dottrine della Riforma si diffondevano a Sud delle Alpi attraverso la stampa, oppure attraverso il racconto di studenti stranieri iscritti nelle università italiane, di mercanti, soldati, maestri di scuola, e di quanti altri avevano viaggiato o soggiornato nei paesi lievitati dalla Riforma. Nella seconda parte vorrei esaminare la Confessione di fede dei Locarnesi del 1554, un documento poco noto, che schiude un piccolo quadro della vita quotidiana, delle inquietudini, della cultura teologica e della spiritualità dei locarnesi che avevano abbracciato la fede evangelica.

I

La diffusione delle opere di Lutero e dei Riformatori svizzeri nella prima metà del Cinquecento

Il 14 febbraio 1519, il grande editore basilese Johannes Frobenius scriveva a Lutero che il libraio Francesco Calvo di Pavia era arrivato a Basilea per acquistare un consistente numero di libretti del riformatore da diffondere in Italia; e aggiungeva che il suo interesse non era economico, ma desiderava contribuire in tal modo al rinnovamento religioso in corso. È la prima notizia di un simile commercio di testi luterani in latino sul suolo italiano. Essa segna l’avvento dirompente della stampa nella vita religiosa italiana del primo Cinquecento. I libri stampati, i fogli volanti erano il nuovo veicolo per propagare le idee di riforma della chiesa. I valichi alpini delle regioni dell’ Italia settentrionale, dove più frequenti erano i rapporti commerciali con il mondo germanico e con la Svizzera, divennero le porte d’Italia. Da lì passavano gli scritti dei riformatori in lingua latina destinati a una élite: teologi, professori, maestri di scuola, avvocati, medici, notai che si dilettavano a seguire le dispute teologiche. I porti di Venezia, Genova, Pisa, Napoli, Messina, Palermo erano altrettanto importanti per la diffusione clandestina dei libri ereticali che arrivavano e partivano assieme alle merci, escogitando modi ingegnosi per evitare i controlli della dogana e degli uffici dell’ Inquisizione.

Vi era poi la grande rete di collegamenti europei degli ordini religiosi. Tra i primi diffusori del pensiero di Lutero in Italia spiccano gli stessi confratelli agostiniani. Molti maestri di teologia avvinti dalla teologia del riformatore, dovettero subire processi umilianti, carcerazioni, sospensione dall’insegnamento e dalla predicazione, al punto che l’ordine agostiniano, fra il 1530 e il 1540, godeva di pessima reputazione. Basti ricordare qui Agostino Mainardi, che sospettato di eresia, si rifugiò nel 1541 nei Grigioni, dove divenne il primo predicatore della comunità evangelica di Chiavenna. Oppure Giulio della Rovere (Giulio da Milano), anch’egli costretto a rifugiarsi nei Grigioni, dove svolse un lungo ministero di pastore a Poschiavo e di missionario nella Valtellina. Anche nella grande famiglia francescana, tanto tra i conventuali che tra gli osservanti e i cappuccini, non mancarono coloro che accettarono le nuove idee religiose. Era indubbiamente una minoranza, che tuttavia dette vari martiri al movimento riformatore in Italia; altri, come il celebre Bernardino Ochino abbandonarono l’ordine e si rifugiarono in Germania o in Svizzera.

Ben presto, oltre alle opere latine di teologi luterani importate direttamente dall’estero, venivano stampate e circolavano traduzioni italiane, quasi sempre anonime o con pseudonimi e con titoli abilmente contraffatti. Per quanto riguarda Lutero, nel 1525 usciva a Venezia, stampato da Nicolò Zoppino, Uno libretto volgare con la dichiarazione de li Dieci Comandamenti, del Credo e del Padre Nostro sotto il nome di Erasmo. Si tratta della traduzione dell’ operetta di Lutero: Kurze Form der zehn Gebote, des Glaubens und des Vaterunsers del 1520. Anonimo, senza data e luogo di pubblicazione apparve anche il libretto Opera divina della christiana vita, versione italiana di uno dei più famosi scritti di Lutero, il De libertate christiana del 1520. Nel 1533 fu pubblicato anonimo, senza indicazione del luogo (probabilmente Strasburgo) il Libro dell’emendatione et correctione dil stato christiano, traduzione italiana dell’opera An den christlichen Adel deutscher Nation, nella quale Lutero parla delle tre muraglie che “i romanisti” hanno edificato intorno a sé. La versione italiana era stata curata dal minorita francescano Bartolomeo Fonzio; accusato di professare e diffondere il luteranesimo, fu condannato a morte per annegamento. L’ opera che più di ogni altra contribuì alla diffusione della dottrina luterana nella penisola fu la geniale sintesi composta da Filippo Melantone: Loci communes theologici apparsa per la prima volta a Wittenberg nel 1521 e poi ampliata e ripubblicata innumerevoli volte Essa fu volta in un elegante italiano da uno dei grandi critici letterari italiani del Cinquecento, Ludovico Castelvetro. Fu pubblicata tra il 1530 e il 1534 con il titolo estroso: I Principi de la Theologia di Ippolitio da Terra Negra. Accusato di eresia, fuggì a Chiavenna, dove morì nel 1571.

La diffusione clandestina di libri ereticali in lingua italiana si accrebbe di una singolare iniziativa editoriale sorta sul versante sud delle Alpi. Con coraggio e audacia lo stampatore Dolfin Landolfi decise di aprire nel 1549 una tipografia in Val Poschiavo specializzata nella pubblicazione di libelli di propaganda in italiano. L’attività della tipografia Landolfi è impensabile senza il sostegno degli esuli per fede Giulio da Milano, Celio Secondo Curione e Pier Paolo Vergerio che ne furono gli animatori. I libri proibiti venivano inviati da Poschiavo, lungo la riva del lago d’Iseo, a Venezia e poi da lì venivano spediti verso le destinazioni di Brescia, Verona e Mantova imballati in sacchi e botti. Alcuni libelli erano destinati proprio alla comunità di Locarno.

I processi inquisitoriali svoltisi nella penisola a partire degli anni Trenta, i numerosi elenchi di libri ereticali sequestrati agli inquisiti e ai librai mostrano, nonostante la lacunosità documentaria, l’entrata in Italia di una quantità di libri dei grandi Riformatori: oltre a Lutero e Melantone, Johannes Brenz, Zwingli, Ecolampado, Bucero, Bullinger, e gli italiani Ochino, Vermigli. A partire dagli Quaranta una delle opere più ricercate fu la Chrtistianae religionis Institutio di Calvino, di cui fu approntata a Ginevra nel 1557 una traduzione italiana per gli esuli ivi residenti, ma che era rivolta soprattutto al pubblico della vicina penisola. Numerose furono anche le ristampe di traduzioni italiane del Catechismo di Calvino susseguitesi a partire dal 1545 e del Salterio ginevrino, usato per il canto nelle comunità clandestine di lingua italiana.

Quanto di questo diluvio di carta stampata giunse nei baliaggi italiani svizzeri e delle Tre Leghe? Difficile da valutare, perché mancano studi approfonditi al riguardo. È certo però che dati gli intensi rapporti commerciali con i territori di lingua tedesca a Nord delle Alpi e con la Penisola italiana non furono esclusi da questa circolazione di libri clandestini e di idee eterodosse che fermentavano intorno a loro, anzi la loro diffusione è attestata sin dalla fine degli anni Venti. A Lugano, per esempio, esisteva una rete di rapporti sia con ambienti riformati svizzeri sia con esponenti del dissenso religioso italiano già prima della Zweiter Landfrieden (Seconda Pace Nazionale) del 1531. Le nuove idee furono accolte da alcuni ecclesiastici, senza tuttavia dare origine ad un vero e proprio movimento. A Locarno, viceversa, si manifestarono segni evidenti di adesione alle idee della Riforma a partire dai primi anni Trenta in coincidenza con la nomina del balivo zurighese Jakob Werdmüller. Grazie a lui, i francescani Cornelio di Sicilia e Benedetto Locarno, nonché il carmelitano Baldassarre Fontana, richiesero alle comunità riformate della Svizzera tedesca «le opere del divino Zwingli, del celeberrimo Lutero, del deciso Melantone, del perspicace Ecolampadio». Nel 1535 Giovanni Beccaria assunse la guida della scuola del convento di San Francesco coadiuvato da Taddeo Duno, Lodovico Ronco e Martino Muralto, figli di famiglie della nobiltà locale. Essi intensificarono i rapporti con Zurigo e altre città riformate dalle quali ricevevano libri e Bibbie. Durante il governo del balivo Bäldi, avvenne il consolidamento della comunità riformata alla quale si aggiunsero le famiglie Orelli, Trevani, Galli, Verzasca, Appiani, Rosalini, che in gran parte abbandoneranno il borgo nel 1555.

Le vicende della Ecclesia locarnensis sono state studiate a fondo. Lo studio più completo resta la monografia Ferdinand Meyer del 1836, a cui si sono aggiunti nel tempo i contributi di Delio Cantimori, di Leo Weisz. di Carlo Ginzburg, e più recentemente di Brigitte Schwarz, Rodolfo Huber e di Simona Canevascini. Non è il caso di ripetere quanto è già stato così ben scritto. Vorrei però aggiungere una considerazione. Tutti riconoscono a Giovanni Beccaria di avere avuto un ruolo determinante nella diffusione della Riforma, di essere stato “l’anima dei riformati di Locarno”, per dirla con Ferdinand Meyer”. Tuttavia, ho l’impressione che si sia esagerato alquanto sulla immagine - creata da Mayer e poi ripresa negli studi successivi - di persona dotata bensì di grande spirito di abnegazione, ma di media cultura e digiuno di scienza teologica. Viceversa, oggi sappiamo che prima di lasciare l’Italia era già maturo nei suoi convincimenti religiosi e tutt’altro che ignaro del dibattito religioso del tempo. Ne fa fede l’amicizia con il protonotaio apostolico Pietro Carnesecchi, l’umanista e politico fiorentino appartenente alla cerchia degli “spirituali” e tenace nella sua poderosa opera di diffusione delle nuove idee. Processato e torturato più volte dall’Inquisizione, non coinvolse i suoi sodali , venne decapitato ed arso il 1º ottobre 1567.

II

La confessione di fede dei Locarnesi

Il testo ha una origine ben precisa. L’esistenza di una comunità riformata nei baliaggi italiani non poteva lasciare indifferenti i cantoni cattolici. Ciò contravveniva alla clausola sancita dalla Seconda Pace Nazionale che proibiva categoricamente la costituzione di comunità riformate al sud delle Alpi. Oltre a contestarne l’esistenza con argomenti giuridico-politici nelle diete federali, i propagandisti cattolici facevano circolare la voce che si trattasse addirittura di una comunità anabattista, anziché riformata, in modo da discreditarla anche agli occhi degli stessi correligionari. Secondo la consuetudine del tempo, si rese necessario formulare una confessione di fede, affinché si potesse verificare l’ attendibilità dell’accusa. L’occasione si presentò nell’estate del 1554, con l’arrivo del nuovo balivo, lo zurighese Esaja Röuchli, al quale il consiglio cittadino affiancò l’ambasciatore Hans Wegmann, con l’incarico di indagare in merito. Questo intervento ufficiale di Zurigo fu accolto favorevolmente dai locarnesi che composero la Confessione di fede dei fedeli locarnesi a cui allegarono l’elenco dei membri della comunità. Questi due documenti, corredati da un lettera d’accompagnamento del balivo Röuchli, furono il 9 luglio 1554 al consiglio di Zurigo. Il documento adempì il compito che si era proposto, in quanto convinse pienamente il consiglio cittadino di Zurigo della ortodossia della comunità locarnese. Non poté tuttavia impedire l’espulsione dei suoi membri che rifiutarono di abiurare la fede riformata. Ad essi, secondo la clausola sancita dalla Seconda Pace Nazionale del 1531 non rimase che prendere la via dell’esilio. Nel maggio 1555 vennero accolti a Zurigo.

Chi furono gli autori della Confessione? È molto ragionevole pensare che a redigere i testo siano stati il medico Taddeo Duno, discepolo devoto di Giovanni Beccaria divenuto la guida spirituale della comunità dopo l’espulsione di quest’ultimo, e Lodovico Ronco, anch’ egli personalità di spicco della comunità e discepolo fin dalla prima ora dell ‘ex sacerdote milanese. In ogni caso, fu lui a vergare di proprio pugno il testo finale, come si evince dall’ originale giacente presso l’Archivio di Stato di Zurigo. Non è dato sapere se il Beccaria sia stato coinvolto nella redazione della Confessione, ma sembra un’ipotesi plausibile dal momento che essendo esule in Mesolcina poteva essere facilmente contattato.

Per molto tempo si è ritenuto, sulla base di una lettera inviata da Pier Paolo Vergerio a Bullinger del 7 giugno 1554, che sia stato l’autore del documento. In effetti nell’ Aarchivio di Stato di Zurigo si trova una bozza di confessione di fede scritta da Vergerio. Dal confronto dei due documenti si deduce che Vergerio, da esperto diplomatico qual era, si sia limitato ad indicare la linea da seguire, ossia sottolineare la conformità sia con i simboli di fede della chiesa antica, apostolico, atanasiano e niceno-costantinopolitano, sia con le dottrine professate dalla chiese riformate della Confederazione.

La confessione ha un'evidente struttura trinitaria mutuata dal Credo apostolico, atanasiano e niceno-costantinopolitano. Il primo articolo dichiara la fede in Dio Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. Il secondo dichiara la fede in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore, e nei grandi fatti che l'Evangelo comprende e che testimoniano di Lui. Il terzo afferma la fede nello Spirito Santo, al quale vengono aggiunte le proposizioni che dichiarano la fede nella santa Chiesa universale, la comunione dei santi, il perdono dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna.

È come a dire: la “nuova fede” che ci accusate di professare, non è altro che la “antica fede” dei Padri! Questa riaffermazione dell’ “antica fede” viene arricchita mediante l’inserimento di citazioni bibliche opportunamente scelte, con fonti patristiche o di concili della chiesa antica, oppure con riferimenti a testi simbolici delle chiese riformate svizzere e della chiesa di Ginevra.

Per esempio, nel I Articolo:

Crediamo in un solo Dio, Padre, Onnipotente, Creatore del cielo e della terra, che governa, regge e modera tutte le cose attraverso la sua sapienza e che, secondo il suo decreto eterno, mediante la morte del suo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, ci ha resi eredi del suo regno.

- Crediamo in un solo Dio, Padre, Onnipotente, Creatore del cielo e della terra – ripreso dal Credo Niceno-Costantinopolitano e dal Credo apostolico
- che governa, regge e modera tutte le cose attraverso la sua sapienza – ripreso dalla Prima Confessione elvetica del 1536
- che secondo il suo decreto eterno, mediante la morte del suo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, ci ha resi eredi del suo regno. – ripreso dalla confessione di fede della chiesa di Basilea del 1534

Oppure nel II Articolo

E in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito per natura, coeterno e consustanziale, il nostro Signore, concepito dallo Spirito santo, non da seme umano; mandato nel mondo dal Padre (in virtù del suo immenso amore), quando giunse la pienezza dei tempi, per riunire i redenti, che aveva eletto ab aeterno, in un solo popolo e riconciliarli a sé mediante la sua morte e il suo sangue. Nato da Maria Vergine, vero Dio e uomo, patì sotto Ponzio Pilato, fu trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, battuto a causa dei nostri peccati; fu crocifisso, morì veramente e fu sepolto; discese agli inferi e risuscitò il terzo giorno, salì al cielo, siede alla destra del Padre onnipotente e intercede per noi, unico difensore e mediatore nostro; da lì verrà a giudicare i vivi e i morti.
- E in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito per natura – ripreso dal XI Concilio di Toledo del 675
- coeterno e consustanziale – ripreso dal Concilio di Firenze del 1438
- non da seme umano – l’aggiunta si trova nel Catechismo di Leo Jud, 1534
- mandato nel mondo dal Padre (in virtù del suo immenso amore), cit. di Ef 2,4
- quando giunse la pienezza dei tempi, cit. Gal 4,4
- i redenti che aveva eletto ab aeterno, cit. Ef 1,4

Il III Articolo è contiene aggiunte teologiche importanti:

Crediamo nello Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, la terza persona nella divinità, mediante il quale i nostri cuori sono illuminati e governati.

- Crediamo nello Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio - L’ espressione “dal Padre e dal Figlio” (Filioque) fu inserita dalla Chiesa latina al Credo niceno-costantinopolitano nel III Concilio di Toledo (Spagna) nel 587. In quell'epoca, l'arianesimo era molto diffuso, soprattutto nelle alte sfere della nobiltà visigotica spagnola. L'eresia ariana toccava esattamente l'ambito trinitario e serviva per meglio spiegare la processione dello Spirito Santo. Si ricorda che il Filioque fu una delle principali cause del dissenso e della separazione tra le Chiese greca e latina.
- mediante il quale i nostri cuori sono illuminati e governati – dal Catechismo di Leo Jud, 1534

Questa massiccia affermazione della dottrina trinitaria ha un duplice significato. Da una parte gli autori della Confessione ribadiscono il legame con la Chiesa antica, dall’altra ripudiano da ogni forma di eresia antitrinitaria. Ciò si spiega bene con la presenza nei baliaggi italiani dei cantoni svizzeri e delle Tre Leghe di molti antitrinitari italiani, che avevano causato non pochi problemi nelle chiese e anche di ordine sociale. Inoltre gli autori della Confessione sanno bene che appena un anno prima a Ginevra era stato messo al rogo Michele Serveto e questo aveva causato un ampio dibattito all’interno delle chiese riformate svizzere.

Le altre proposizioni o dichiarazioni della fede cristiana contenute nella Confessione sono altrettanto ricche di riferimenti biblici o patristici:

E la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, tempio del Dio vivente, senza quale non v’è salvezza; la remissione dei peccati mediante il sangue di Cristo; la risurrezione della carne, la cui primizia è Cristo, caparra e pegno della nostra risurrezione; la vita eterna, allorché saremo sempre con il Signore.

- tempio del Dio vivente – cit. 2 Cor 6, 16.
- senza quale non v’è salvezza – extra ecclesia nulla salus , - espressione risalente a Cipriano , vescovo di Cartagine del III sec. E poi ripresa da Bonifacio VIII, nella Bolla Unam Sanctam, 1302
- Cristo primizia della risurrezione – cit. 1 Cor 15, 23.
- Cristo, caparra e pegno della nostra risurrezione – ripreso dal Catechismo di Ginevra del 1545.

Il testo prosegue con una sezione separata dedicata ai sacramenti, contenente due questioni spinose nel 16 secolo: la sfida lanciata dagli anabattisti riguardo al pedobattesimo, il dibattito sulla presenza reale di Cristo nella celebrazione della Cena del Signore. La definizione del sacramento evita senza menzionarli tanto l’oggettivismo cattolico quanto il simbolismo zwingliano dei primi anni.

- Riguardo ai sacramenti, che sono due, il battesimo e la Cena del Signore, osserviamo due cose: una esterna, che è segno visibile, l’altra interna, invisibile, che viene indicata dalla visibile.

Per quanto riguarda il battesimo, la Confessione riconosce audacemente per l’epoca entrambe le forme: pedobattesimo e battesimo degli adulti , prende però le distanze dagli Anabattisti che, ritenendo non biblico il pedobattesimo, riconoscevano come valido solo il battesimo degli adulti, e quindi ribattezzavano coloro che aderivano alle comunità anabattiste:

- Riteniamo che il battesimo debba essere amministrato senza tutte le cerimonie papistiche tanto ai fanciulli quanto agli adulti; non può in nessun caso essere ripetuto, come blaterano gli Anabattisti. Confidando nelle promesse di Cristo, noi confessiamo che mediante il battesimo veniamo lavati nel sangue di Cristo, moriamo e risorgiamo con lui per camminare in novità di vita.

La comprensione della Cena del Signore fa propria quella affermatasi nelle chiese riformate svizzere dopo la stipula del Consenso Tigurino tra Bullinger e Calvino.

- Con la celebrazione della Cena del Signore noi confessiamo che il Corpo di Cristo offerto sulla croce e il suo sangue versato per nostri peccati sono il vero cibo e la bevanda vivificante e salutare delle anime nostre. Nel celebrare con grata memoria tale grande beneficio rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, nostro Signore.

La Confessione non parla di “presenza corporale” di Cristo nella Cena, secondo la concezione cattolica e luterana, né considera gli elementi del pane e del vino meri simboli, bensì “vero cibo”, “bevanda vivificante e salutare”. La celebrazione non è dunque soltanto un atto simbolico della comunità, ma anche un dono di grazia divina al credente con cui viene confermata la promessa della salvezza offerta da Cristo.

Il testo si conclude con una difesa contro l’accusa di sovversione, date le tendenze anabattiste all’interno della comunità locarnese e una vigorosa riaffermazione della comunanza di fede con le chiese riformate elvetiche:

- Per il resto, prestantissimi Signori, non abbiamo dubbi che i nostri avversari hanno colto l’occasione di calunniarci e attribuirci inclinazioni anabattiste perché non avendo noi un pastore consacrato, né un luogo pubblico per amministrare il battesimo siamo costretti a fare battezzare i nostri figli nelle nostre case da pastori chiamati segretamente dalle chiese retiche. Se Dio, Padre di misericordia, si degnerà di portare a compimento attraverso di voi, Signori nostri, quello che ha iniziato in noi (cosa in cui confidiamo) concedendoci un luogo di culto pubblico e la facoltà di nominare un pastore consacrato da voi approvato, vi renderete conto senza alcun dubbio che non dissentiamo nemmeno un dito dalle Chiese dei nostri Signori di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa e che i nostri avversari ci accusano ingiustamente di essere eretici. Dio voglia nella sua clemenza accordarcelo. Per Gesù Cristo, unico Salvatore nostro.

Conclusione

Senza dubbio la Confessione con può essere collocata tra i maggiori esempi di simboli di fede del protestantesimo del tempo, e neppure vi aspirava ad esserlo, ma resta con decorosa dignità, singolarmente notevole perché come poche altre opere dà il senso di una cultura teologica assimilata da laici, contribuisce a definire la consistenza e il vigore di quel “sacerdozio universale dei credenti”, tanto proclamato quanto poco realizzato nella storia del protestantesimo.

Ma v’è di più: la Confessione fu scritta nel luglio del 1554. In quello scorcio di anno, quando il frastuono degli eserciti aveva lasciato il campo al lavorio silenzioso dei politici e dei diplomatici che preparavano la pace di Augusta del settembre 1555, era ormai chiaro che i rapporti tra le confessioni sul continente europeo si sarebbero regolati con la formula del cuius regio eius religio, del resto già anticipata dalla Seconda Pace Nazionale. D’ora in poi non vi sarebbe stato più posto per quell’isola riformata nella società cattolica locale sopravvissuta per anni senza pastore grazie al sostegno dei correligionari d’oltralpe. Di lì a pochi mesi, infatti, essi dovettero prendere la via dell’esilio. Questa è la confessione di fede di una ecclesia peregrinorum, di testimoni dell’ Evangelo che credevano che bisognasse cercare per primo il regno dei Cieli e che tutto il resto sarebbe stato sopraggiunto. Per la pietruzza che anch’essa ha recato alla grande opera di riforma della Chiesa non era forse inutile ricordarla ed additarla all’attenzione di chi ritenga di servirsene.

Cenni bibliografici

- Locarnensium fidelium brevis confessio de articulis Christianae fidei et sacramentis, in Reformierte Bekenntnisschriften, 1/3, Neukirchen-Vluyn, 2007, 329-338; ed. criti. e trad.it. a cura di Emidio Campi.
- Ferdinand Meyer, La comunità riformata di Locarno e il suo esilio a Zurigo nel XVI secolo, trad. a cura di Brigitte Schwarz, Roma 2005.
- Simona Canevascini, Piero Bianconi ; saggio introduttivo di Rodolfo Huber, L'esilio dei protestanti locarnesi, Locarno 2005.
- Rudolf Pfister, Um des Glaubens willen : die evangelischen Flüchtlinge von Locarno und ihre Aufnahme zu Zürich im Jahre 1555, Zollikon/Zürich 1955.
- Joachim Staedtke, Das Glaubensbekenntnis der christlichen Gemeinde zu Locarno vom 9. Juli 1554, in Zwingliana 10 (1955), 181-193 (con trad. ted.).
- Lukas Vischer, Das Bekenntnis von Locarno: Zeugnis einer bedrängten Kirche, in Histoire et Herméneutique. Mélamges offerts à Gottfried Hammann, a cura di Martin Rose, Genève 2002, 411-418. ( con trad. ted.).


Una breve confessione dei fedeli di Locarno sugli articoli della fede cristiana e i sacramenti
(testo originale latino, in Reformierte Bekenntnisschriften, 1/3, Neukirchen-Vluyn, 2007, 329-338, trad.it. Emidio Campi)

Crediamo in un solo Dio, Padre, Onnipotente, Creatore del cielo e della terra, che governa, regge e modera tutte le cose attraverso la sua sapienza e che, secondo il suo decreto eterno, mediante la morte del suo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, ci ha resi eredi del suo regno.
E in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito per natura, coeterno e consustanziale, il nostro Signore, concepito dallo Spirito santo, non da seme umano; mandato nel mondo dal Padre (in virtù del suo immenso amore), quando giunse la pienezza dei tempi, per riunire i redenti, che aveva eletto ab aeterno, in un solo popolo e riconciliarli a sé mediante la sua morte e il suo sangue. Nato da Maria Vergine, vero Dio e uomo, patì sotto Ponzio Pilato, fu trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, battuto a causa dei nostri peccati; fu crocifisso, morì veramente e fu sepolto; discese agli inferi e risuscitò il terzo giorno, salì al cielo, siede alla destra del Padre onnipotente e intercede per noi, unico difensore e mediatore nostro; da lì verrà a giudicare i vivi e i morti.
Crediamo nello Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, la terza persona nella divinità, mediante il quale i nostri cuori sono illuminati e governati.
E la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, tempio del Dio vivente, senza quale non v’è salvezza; la remissione dei peccati mediante il sangue di Cristo; la risurrezione della carne, la cui primizia è Cristo, caparra e pegno della nostra risurrezione; la vita eterna , allorché saremo sempre con il Signore.

Sui sacramenti

Riguardo ai sacramenti, che sono due, il battesimo e la Cena del Signore, osserviamo due cose: una esterna, che è segno visibile, l’altra interna, invisibile, che viene indicata dalla visibile.

Riteniamo che il battesimo debba essere amministrato senza tutte le cerimonie papistiche tanto ai fanciulli quanto agli adulti; non può in nessun caso essere ripetuto, come blaterano gli Anabattisti. Confidando nelle promesse di Cristo, noi confessiamo che mediante il battesimo veniamo lavati nel sangue di Cristo, moriamo e risorgiamo con lui per camminare in novità di vita.

Con la celebrazione della Cena del Signore noi confessiamo che il Corpo di Cristo offerto sulla croce e il suo sangue versato per nostri peccati sono il vero cibo e la bevanda vivificante e salutare delle anime nostre. Nel celebrare con grata memoria tale grande beneficio rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, nostro Signore.

Per il resto, prestantissimi Signori, non abbiamo dubbi che i nostri avversari hanno colto l’occasione di calunniarci e attribuirci inclinazioni anabattiste perché non avendo noi un pastore consacrato, né un luogo pubblico per amministrare il battesimo siamo costretti a fare battezzare i nostri figli nelle nostre case da pastori chiamati segretamente dalle chiese retiche. Se Dio, Padre di misericordia, si degnerà di portare a compimento attraverso di voi, Signori nostri, quello che ha iniziato in noi (cosa in cui confidiamo) concedendoci un luogo di culto pubblico e la facoltà di nominare un pastore consacrato da voi approvato, vi renderete conto senza alcun dubbio che non dissentiamo nemmeno un dito dalle Chiese dei nostri Signori di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa e che i nostri avversari ci accusano ingiustamente di essere eretici. Dio voglia nella sua clemenza accordarcelo. Per Gesù Cristo, unico Salvatore nostro.

Presentata agli illustrissimi nostri Signori delle Quattro Città, il 9 luglio 1554


MURALTO
INAUGURAZIONE PIAZZETTA DEI MURALTI, 23.09. 2017


Contributi di Angelo Cassano*

Stimate autorità politiche e religiose, cari membri della famiglia Von Muralt, care amiche, care amici, con questo intervento vorrei sottolineare due aspetti che mi sembrano vitali per l’ inaugurazione della piazzetta dei Muralti.

1. CIÒ CHE NOI COMPIAMO OGGI È UN ATTO DI LIBERTÀ E DI RESPONSABILITÀ CIVILE E RELIGIOSA

Inauguriamo una piazza e il termine piazza viene dal greco AGORÀ che significa RADUNARE, RACCOGLIERE, METTERE INSIEME persone che giungono da strade diverse.

Nell'antica Grecia con il termine AGORÀ si indicava la piazza principale della polis, dove si riunivano i cittadini in assemblea. Era il luogo privilegiato dello scambio di idee e dello scambio commerciale. L’AGORÀ pubblica era culle teatro della democrazia e simbolo di libertà. Metteva insieme le diversità e valorizzava la pluralità di voci.

Inaugurando la piazzetta dei Muralti, compiamo oggi un atto di libertà e di responsabilità civile e religiosa perché quando ricordiamo le famiglie dei Muralti che nel 1555 furono costrette a lasciare la loro patria, mettiamo sotto i riflettori una scelta coraggiosa compiuta da donne e uomini che in nome della libertà di coscienza scelsero di rimanere ancorati alla loro fede evangelica.

E noi oggi possiamo e dobbiamo imparare dal coraggio di donne e uomini liberi, come i Muralti, che ci hanno lasciato in eredità un bene così prezioso.

La libertà solidale e responsabile è un valore inestimabile che ha richiesto secoli per realizzarsi, anche se, di fronte ai fantasmi, alle ideologie divisive e alle sfide oscurantiste del nostro tempo, appare tremolante.

Ma stiamo attenti! I nostri padri e le nostre madri si sono battuti per la libertà di pensiero. Facciamo il possibile per non barattare le libertà connaturate alla nostra democrazia con l’esigenza sempre più pressante di sicurezza. La sicurezza è vitale, ma non esclude la libertà!

Proteggiamo ciò per cui le nostre madri e i nostri padri hanno tenacemente creduto e lottato perché la libertà è il cuore della nostra civiltà.

2. Il secondo punto che desidero porre alla vostra attenzione: L’INAUGURAZIONE DI OGGI È UN ATTO DI CULTURA.

Noi siamo fondamentalmente estranei gli uni agli altri. Ciò che ci unisce è la cultura. Ciò che ci unisce sono le idee in cui insieme ci riconosciamo.

La cultura è fatta di idee, idee che si confrontano con altre idee e, storicamente, è da questo confronto serrato che è nata la costituzione federale su cui si basano le leggi vigenti.

E vale la pena ricordare che fu proprio in nome delle idee che le famiglie dei Muralti e gli altri esuli del locarnese preferirono l’esilio all’abiura.

Le idee non nascono mai dal nulla, hanno le loro radici nella storia. È tramite i processi storici che concetti quali la libertà, l’uguaglianza e la fraternità si sono sviluppati e affermati e oggi fanno parte del nostro bagaglio civile e culturale.

Un popolo senza idee ben fondate, senza la conoscenza della propria storia e origine è come un albero senza radici.

La forza di una società, di un uomo e di una donna, sta dunque nelle radici, in quei snodi storici basilari e fondanti della nostra convivenza civile.

Le radici contano! Contano per imparare dal passato. Contano per sanare le ferite. Contano per dire ai nostri figli che le nostre madri e i nostri padri sono la nostra storia perchè le loro idee fanno parte della nostra identità democratica e religiosa e, quindi, della nostra cultura!

*Pastore della Chiesa Evangelica Riformata di Locarno, già docente di filosofia e storia.